Portoferraio

“Che succede alla baia più protetta d’Europa? Le soluzioni”

Lettera firmata

Riceviamo e pubblichiamo:

“Negli ultimi tempi, chiunque abbia avuto l’opportunità di osservare il panorama di Portoferraio avrà notato qualcosa di insolito: le barche da diporto, quelle che solitamente ancorano in rada, non ci sono più. Ma la domanda che sorge spontanea è: perché? Perché le barche non sono arrivate, e cosa sta accadendo davvero in quella che una volta era considerata la baia più sicura e protetta d’Europa?

La risposta è semplice eppure inquietante. Un cavo, interrato lo scorso anno, ha segnato il destino di questo storico ancoraggio. Chi dice che il cavo è stato sepolto, chi che è solo posato, chi dice che sopra al cavo ci sono addirittura lastre di cemento ma a quanto pare, il mistero è tutt’altro che risolto. La vecchia giunta, con la sua ordinanza finale, ha dichiarato un’interdizione totale nell’area che va dalla linguella fino alla punta delle grotte trasformandola in area portuale, ben sapendo che un traghetto non può manovrare oltre al campo boe per via della poca profondità.

Teoricamente, 100 metri di distanza sono la misura di sicurezza minima da rispettare per evitare il rischio di danneggiare un cavo in tensione. Ma la legislazione è poco chiara su questo punto. Non è difficile immaginare la pericolosità di un ancoraggio in un’area dove, a causa di circostanze imprevedibili, un cavo di alta tensione potrebbe rimanere intrappolato nella catena di un’ancora. Ma il problema, come spesso accade, sta nei numeri. La baia ha un diametro di circa 1200 metri nel suo punto più ampio. E se il cavo attraversa la baia, con un calcolo sommario, almeno 600-700 metri dell’area in lunghezza e 400 in larghezza restano liberi, ma impossibili da utilizzare.

La domanda che ora ci dobbiamo porre è: come risolvere questo impasse? Le soluzioni, come vedremo a breve, sono molteplici, ma intanto è necessario fermarsi a riflettere sull’impatto di questa decisione.

Due mondi, due visioni del turismo

Quello che sta succedendo non riguarda solo un piccolo gruppo di diportisti a cui piace venire sullo scoglio. Riguarda l’economia di Portoferraio e, di riflesso, quella dell’intera Isola d’Elba. Ma prima di addentrarci nei numeri, è interessante fare una riflessione sul turismo in generale, cercando di comparare due modelli che, purtroppo, sembrano andare in direzioni completamente diverse.

Il turismo delle crociere

Le navi da crociera sono l’emblema di un modello che, purtroppo, non si può definire genuino. Offrono pacchetti all-inclusive e scaricano giornalmente migliaia di turisti sulle banchine dei porti. Ma cosa lasciano questi turisti? Pochissimo, se non qualche acquisto in souvenir. Hanno tempo solo per una rapida escursione, nemmeno un pranzo veloce, e poi via, verso la prossima destinazione. Il loro impatto sull’economia locale, sebbene non irrilevante, è comunque limitato. Ogni nave paga tra i 3.000 e i 10.000 euro al giorno per il diritto di stazionamento in porto. I passeggeri, come previsto dalla tassa di sbarco, contribuiscono con una cifra irrisoria, 1,50 euro per persona. Un calcolo rapido ci dice che una nave di medie dimensioni con 500 passeggeri porta nelle casse comunali circa 6.000 euro al giorno. Non certo una fortuna ma comunque qualcosa.

Il turismo del diporto

Ora, consideriamo il turismo dei diportisti. Piccole barche, ciascuna con a bordo una famiglia o un gruppo di amici. Sono circa 100 le barche che quotidianamente stazionano in rada durante la stagione estiva. Questi turisti non sono quelli da 1,50 euro di tassa di sbarco. Sono persone che passano giorni sull’isola, che acquistano prodotti locali, che mangiano nei ristoranti, che acquistano souvenirs e capi d’abbigliamento e che frequentano i musei. Un turista da diporto spende almeno 50 euro al giorno tra ristoranti, shopping e attività. E se moltiplichiamo per 400 persone al giorno, otteniamo circa 20.000 euro al giorno. Non è tutto. Perché questo tipo di turismo si distribuisce durante tutta la stagione e coinvolge anche tutte le attività collaterali, come il noleggio di bici, i giri turistici, i golf, le escursioni in mare, i relax alle spiagge, le entrate in marina. Il calcolo, sebbene approssimativo, porta a una cifra di oltre 40.000 euro al giorno che vanno direttamente nelle tasche dei commercianti, ristoratori e in generale nel circuito economico dell’isola. Solo grazie a queste 100 piccole barchette.

Un danno irreparabile

Cosa succede se questo tipo di turismo scompare dalla baia più protetta d’Europa? Portoferraio rischia di perdere ben più dei 40.000 euro al giorno. Rischia di perdere una risorsa che, sebbene invisibile, è fondamentale: la fiducia dei diportisti, che anno dopo anno tornano sull’isola per godere delle sue bellezze. Se la baia diventa off-limits per una stagione intera, il danno economico sarà incalcolabile. E non basta un solo anno per recuperare quella fiducia che si è costruita in decenni. I diportisti, con la loro voglia di esplorare e di vivere in barca, potrebbero semplicemente scegliere di non fermarsi più a Portoferraio, preferendo altre baie più accoglienti e meno vincolate.

Le soluzioni: un passo indietro per un futuro migliore

La soluzione, fortunatamente, non è impossibile. Se il cavo fosse stato interrato correttamente, basterebbe calcolare il peso delle barche e stabilire quale tipologia di imbarcazione può ormeggiare senza interferire con il cavo. Se il cavo non è interrato, l’alternativa più semplice sarebbe quella di posizionare due boe per segnalarlo e liberare un’area della baia, almeno dal campo boe fino alla punta delle grotte, permettendo alle piccole barche di tornare a ormeggiare senza problemi. In questo modo, si recupererebbe almeno 1.000 metri per 450 di spazio, garantendo una convivenza pacifica tra sicurezza e turismo. E sarebbe anche il momento perfetto per organizzare un moletto dove approdare con i tender.

In considerazione di quanto espresso, è chiaro che la chiusura totale della baia rappresenta una perdita economica e sociale che Portoferraio non può permettersi. L’equilibrio tra la tutela della sicurezza e la valorizzazione delle risorse locali è un obiettivo che possiamo e dobbiamo raggiungere. Per questo, l’appello è diretto al Sindaco e all’amministrazione comunale: è urgente rivedere il prima possibile l’ordinanza che ha interdetto l’accesso alla baia, trovando una soluzione che consenta la riapertura, anche parziale, dell’area. La riapertura di parte della baia, pur con i dovuti limiti e regole, rappresenterebbe una via di mezzo che garantirebbe sia la sicurezza, che la continuità di un turismo che è fondamentale per l’economia.

Signor Sindaco, Portoferraio ha sempre saputo accogliere con calore e professionalità i turisti da diporto. Non possiamo permettere che un errore burocratico danneggi irreparabilmente il territorio e l’economia della città. La baia merita di essere preservata, ma non possiamo permetterci di perderla completamente. La sua riapertura, anche con i dovuti accorgimenti, sarebbe la soluzione migliore per tutti.

Ogni barca che ancora in quella baia rappresenta un sogno di libertà, di avventura, di scoperta. Non permettiamo che questo sogno venga soffocato da un’impossibilità burocratica. Riaprire la baia significa ridare speranza a chi sogna ancora di solcare questo mare.

Buon vento”

Lettera firmata

5 risposte a ““Che succede alla baia più protetta d’Europa? Le soluzioni”

  1. Antonio Rispondi

    Tra gdf a bordo in calata e cavo non protetto in rada siamo riusciti a fargli scappare tutti un bel capolavoro siamo i numeri uno per l’accoglienza dei nostri turisti…!! Condivido in commento di Federica andate a vedere port grimaud e fatevi un’idea di come si fa turismo! Altro non c’è da dire

    5 Giugno 2025 alle 10:13

  2. Marina Rispondi

    Negli ultimi dieci anni ho avuto il privilegio di navigare molto in Mediterraneo e devo ahimè ammettere che in Italia, il diporto nautico sia spesso poco valorizzato, nonostante possa rappresentare una forma concreta di turismo sostenibile e rispettoso del territorio.

    Nella maggioranza dei casi mancano approdi per i tender, aree per i rifiuti e una comunicazione chiara delle ordinanze. In altri Paesi vicini – come Grecia e Corsica – bastano piccoli servizi per accogliere i diportisti con semplicità e rispetto, generando benefici anche per le economie locali.

    Come scritto nell’articolo del mio “collega diportista”, la recente chiusura di una baia ben protetta, dove si ancorava su fondale fangoso, è un caso emblematico e che deve portare tutti ad una riflessione.

    Grazie all’ordinanza, ci si ritrova ad ancorare sulla Posidonia, specie protetta che andrebbe salvaguardata, per di più in un’area esposta e meno sicura, lontana dal centro cittadino di Portoferraio.

    Oltre ciò, non esiste a Portoferraio una zona di smaltimento rifiuti, tanto meno un passaggio a terra per poter scendere.

    Anche sull’isola non mancano esempi positivi: Porto Azzurro, ad esempio, ha realizzato un semplice moletto per i tender che permette ai diportisti in rada di scendere a terra in modo sicuro e accedere facilmente ai servizi del paese. Un intervento concreto, funzionale e alla portata di tutti, che dimostra come, con un po’ di visione e collaborazione, si possano trovare soluzioni semplici ma efficaci per rendere il territorio più accogliente anche per chi arriva dal mare.

    Potrei scrivere ancora molto, ma non è il luogo adatto per dilungarsi e nell’articolo è scritto quasi tutto.

    Le mie non vogliono essere critiche, ma un invito a riflettere: con piccoli accorgimenti, e coinvolgendo chi il mare lo vive davvero, possiamo migliorare molto. Il diportista non è un problema, ma una risorsa.

    5 Giugno 2025 alle 9:48

  3. Fabio Rispondi

    Terna a proposito del cavo:
    ‘Gli approdi del cavo, inoltre, sono stati realizzati tramite la tecnica della trivellazione orizzontale controllata (TOC), che permette, da un lato, di installare la tubazione limitando l’interferenza con le piante acquatiche annullando l’impatto dei lavori sul litorale e, dall’altro, di garantire la necessaria protezione meccanica del collegamento elettrico.’
    Quindi il cavo è ben protetto. Inoltre c’è da dire che la parte individuata come rada presenta sul fondo una grande prateria di posidonia, ragion per cui non dovrebbe essere possibile poter ancorare dato che la posidonia è una pianta protetta

    5 Giugno 2025 alle 9:27

  4. Federica Nassi Rispondi

    Avrei infinite considerazioni su come viene gestito il turismo da diporto, risorsa essenziale di un isola sicura ed attraente come l’Elba, forse prendete spunto dai francesi, che hanno trasformato una zona palustre come le Antiche Saline in Port Grimaud, una Venezia moderna, noi abbiamo riempito, chiuso canali, per fare una zona periferica abbandonata, senza marciapiedi, illuminazioni. Pensiamo ad Ischia, ad altre infinite baie che fanno di tutto per attirare questo turismo, basta semplicemente vedere la trasformazione di Porto Azzurro.

    5 Giugno 2025 alle 2:04

  5. Fabio Rispondi

    Una prima soluzione potrebbe essere far trovare benzina e gasolio nei distributori marini ma nei week end è praticamente impossibile.
    Il giochetto di chiudere elbana petroli è stato un danno di misura incalcolabile.
    Fatevi un giro sui forum dei diportisti e su cosa scrivono riguardo i rifornimenti all’Elba.
    Poi ci sono altri mille problemi ma questo è la base.

    4 Giugno 2025 alle 15:45

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