Il mulino ad acqua del fosso di San Martino

di Marcello Camici

La farina  per fare il pane fine  ,di munizione e venale  è stata “grascia” fondamentale per la sopravvivenza  di Cosmopoli  talchè sin dalla sua fondazione i granai dove ricoverare il grano con i mulini a vento per macinarlo e ottenere farina ,furono  le opere civili  tra le prime ad essere costruite in Cosmopoli  insieme con le cisterne per la conserva di acqua.

Il conte Vincenzo degli Alberti nella  sua relazione a Sua Altezza Reale scrive:

“…L’Abbondanza gode ella sola la privativa di vendere la farina et il pane e di comprare i grani .Quelli che raccolgono grano del distretto di Portoferraio ,a riserva di quanto può servire per nutrimento delle sole loro famiglie,non possono darlo né in pagamento dei loro debiti ne venderlo nel paese  se non all’Abbondanza che per regola costante lo paga lire una il sacco meno del prezzo al quale essa vende la farina.Per esempio se il prezzo della farina è di lire 16 il sacco di () 150,l’Abbondanza paga il grano ai particolari lire 15 il sacco.

Due sorte di farina  si vendono in Portoferraio :farina da fine di grano di Pisa,e farina da basso di grano di Maremma  o forestiero.Della prima si servono per il pane fine, e della seconda per il pane venale e di Munizione…”

 

(“Relazione di Portoferraio fatta a Sua Altezza Reale dal conte Vincenzo degli Alberti  suo Consigliere di Stato” Vincenzo degli Alberti.Manoscritto. Biblioteca comunale di Portoferraio. 1766)

 

L’amministrazione del grano era  dunque esclusiva  dell’Abbondanza poi sostituita, sul finire del settecento, dal “forno provisionale comunitativo”.L’abbondanza fu “azienda”, così la chiama degli Alberti, la più importante nella Portoferraio del seicento e del settecento (vedi LINK

https://www.academia.edu/45101124/POLITICA_ECONOMICA_NEL_1700_MAGISTRATURA_DELLABBONDANZA_MARCELLO_CAMICI_ALLEGORIA_DELL_ABBONDANZA ).

Grano ,sul territorio dell’Elba, non ce ne è mai stato abbastanza per provvedere ai fabbisogni della popolazione talchè era a Pisa  e nella Maremma che si andava ad acquistarlo.

Dal grano di Pisa si otteneva ‘farina da fine’ e da quello di Maremma,’farina da basso’ .

Con la prima si faceva pane fino, con la seconda pane venale e di munizione.

Tutto ciò comportò la nascita dei “provisionieri del grano”, soggetti con i quali la magistratura comunitativa di Portoferraio  tramite l’azienda dell’Abbondanza stipulava contratto  perché provvedessero in terraferma  all’acquisto di grano  e poi   al suo trasporto sull’isola .

Una volta arrivato a Portoferraio il grano  doveva essere condotto dal ponte di arrivo ai granai , immagazzinato, pesato,  vagliato, macinato ,la farina trasformata in pane e il pane venduto.

Per ognuno di  questi passaggi sorsero, gestite dall’Abbondanza,   figure di lavoranti i quali come impiegati della stessa Abbondanza  e da essa  “provisionati” (pagati) svolgevano funzione di  pesatori,vagliatori, magazzinieri,  fornai , mugnai e rivenditori (canovieri) del pane.

I mulini a vento dentro le mura della  città di Portoferraio  non erano  bastanti per produrre farina sufficiente per la popolazione.

Lo documentano  carte manoscritte di archivio.

Interessante è la lettura di una di queste ,che ho trovato nell’archivio storico di Portoferraio,  dove sono annotate  “ le spese che fa il forno provisionale comunitativo  quando il grano è arrivato al ponte”

Da queste carte si viene a conoscenza che l’ azienda  dell’ Abbondanza prima e il forno comunitativo  provisionale poi, andavano a  fare macinare grano in mulini a vento e ad acqua “fuori delle porte “sia  sul  territorio del comune di  Portoferraio , sia sul territorio dell’isola , a Rio, sia  sul territorio fuori dell’isola in terraferma , a Follonica e a Torre Nuova in Piombino.

Sul territorio di Portoferraio   esiste un mulino a vento  ancora oggi ben visibile in località “ Colle alle Vacche” nel  luogo detto “Poggio al Mulino” sul crinale dei monti della valle di San Martino lungo la strada militare che unisce il passo di Monte Orello a Campo nell’Elba

Dei mulini ad acqua del territorio di Portoferraio, citati nei documenti di archivio, sono riuscito ad individuarne  uno lungo il fosso di  San Martino ai piedi della collina di Castiglione .Qui è visibile il manufatto  con le sue bocche che si aprono nel fosso tramite le quali l’acqua rientrava nell’alveo,come dopo dirò.

Questo mulino ad acqua ,al pari di quello a vento di “Poggio al  Mulino “, è allo stato di rudere in forte  degrado,  in completo  abbandono. Rispetto al mulino a vento  non è visibile  perché  defilato ,lontano  da ogni strada di comunicazione,sentieri compresi, e ricoperto da ricca vegetazione. Per vederlo bisogna  andare a  piedi scendendo dalla strada  napoleonica.Vi si può entrare dentro attraverso una porta di ingresso che si trova in mezzo ad arbust

All’interno,per terra,sono ancora osservabili  alcune  moli da macina  in pietra , abbandonate.

Mentre il primo mulino , a vento, è ben documentato in mappe, il secondo, ad acqua, è scomparso da ogni mappa  e dalla memoria collettiva.

Ma, è presente nel  catasto leopoldino.

Qui,nel foglio mappale quinto del comune di Portoferraio ,sezione D, detta di San Martino, “levato in pianta dal Geometra stimatore Costantino Bartoli terminato sul suolo il dì 31 agosto 1840” si trova mappato il Molino ad acqua.

In un particolare della stessa mappa  è ben visibile nel rilievo eseguito dal geometra Bartoli   questo mulino ad acqua lungo il fosso di San Martino.

L’analisi  del particolare del foglio catastale mappale permette anche   di capire come avveniva il funzionamento .

Dal fosso di San Martino a monte del Molino  , acqua era stornata  e  convogliata tramite un canale rettilineo  in un piccolo invaso che termina in alto , sopra il mulino. Dall’alto dell’invaso l’acqua entra dentro le macine del mulino che mette in movimento con la forza della sua  caduta . Poi esce dalle bocche poste sotto il mulino ritornando nell’alveo del fosso da cui era stata stornata .

Questo mulino ad acqua insieme con quello a vento sono non sono solo memoria storica del nostro passato ma anche possono diventare risorsa turistica se adeguatamente e sapientemente  recuperati ed immessi in un percorso didattico che è immerso in un ambiente floro-faunistico importante.

 

 

 

 

MARCELLO   CAMICI

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