
Ecco il testo del discorso del vice Presdente del Senato della Repubblica, Gian Marco Centinaio, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile a Portoferraio.
Voglio ringraziare il sindaco Tiziano Nocentini per avermi invitato oggi a celebrare insieme a voi l’ottantesimo anniversario della Liberazione d’Italia dal Nazifascismo.
A pochi giorni dalla scomparsa di papa Francesco, di cui domani si celebreranno i funerali, questa giornata ci dà l’occasione per ricordare il messaggio di pace che più volte il Santo Padre ha rivolto a tutto il mondo. Un messaggio che dobbiamo raccogliere e fare nostro, anche in nome di chi ottant’anni fa combatté per sconfiggere le dittature, porre fine all’orrore dell’Olocausto e regalare all’Europa un lungo periodo senza il frastuono delle armi.
È grazie a loro che io, Gian Marco Centinaio, oggi sono il vicepresidente del Senato della Repubblica Italiana e posso dire liberamente di essere antifascista.
Nel celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione, oggi confermiamo la nostra gratitudine ai Paesi Alleati, che sacrificarono le vite di tanti giovani per combattere e fermare i piani scellerati dei regimi nazista e fascista. E riconosciamo il carattere straordinario della Resistenza, un’esperienza di coraggio, di ideali, ma soprattutto di unione.
Per quasi vent’anni, l’Italia aveva subito la dittatura fascista. Alcuni ne erano stati affascinati, alcuni ne avevano approfittato per accumulare potere e ricchezza. Gran parte della popolazione era stata costretta ad adeguarsi alle sue imposizioni, per paura o anche solo per sopravvivere.
Il desiderio di libertà, però, non si spense mai. A tenerlo acceso furono uomini e donne, laici e cattolici, repubblicani e monarchici, comunisti e liberali. Furono intellettuali e uomini d’azione. Furono sacerdoti e rivoluzionari. Furono militari e persone che non avevano mai toccato un’arma, ma che al momento opportuno decisero di imbracciare i fucili e combattere per riconquistare quella libertà perduta.
Non andò tutto bene. Tanti persero la vita, altri furono arrestati, esiliati o torturati. E non mancarono atti efferati anche da parte degli stessi Partigiani, sarebbe ipocrita nasconderlo. Ma si stava combattendo una guerra e non si possono giudicare le azioni di guerra come oggi noi, persone libere, giudichiamo la realtà che ci circonda.
Soprattutto, quei patrioti combatterono insieme. Di fronte a un bene più grande, la libertà di tutti, misero da parte le rispettive ideologie. Rimandarono le discussioni sul futuro che volevano dare all’Italia, perché quel futuro andava prima conquistato.
Di tutto questo, porta memoria anche l’Isola d’Elba. Proprio da qui, da Portoferraio, partì Giordano Piacentini per arruolarsi in Piemonte nella nona Divisione Garibaldi, di ispirazione comunista, e poi perdere la vita nel sottocampo di Gusen a Mauthausen. Mentre Ilario Zambelli combatté nel Fronte militare clandestino della Marina, di stampo conservatore e guidato dal monarchico Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, prima di finire entrambi trucidati alle Fosse Ardeatine. Ideali diversi, ma disposti ad allearsi per un obiettivo comune.
È questo l’esempio più straordinario che ci ha lasciato la Resistenza. Ed è l’eredità che ritroviamo nella nostra Costituzione, che è stata scritta con la stessa ispirazione unitaria e con lo stesso desiderio di garantire un futuro di pace, libertà e diritti a tutti gli italiani.
Io mi sono sempre dichiarato anticomunista, ma riconosco il contributo dei partigiani comunisti alla Liberazione dell’Italia. Io non ho mai condiviso l’ideologia socialista, ma ho deciso di fare politica ispirato da bambino anche dalla figura del presidente partigiano Sandro Pertini. Mi auguro che anche chi sta dall’altra parte abbandoni la tentazione – che troppo spesso abbiamo visto – di addossare a chi si colloca nel campo del centrodestra una sorta di peccato originale, anche quando il fascismo non l’ha mai vissuto né tanto meno approvato.
Coltivare l’eredità della Resistenza per me significa avere la forza di trovare ciò che unisce la stragrande maggioranza degli italiani. Trasformarla in una rivendicazione di parte non è solo un errore storico, ma è anche un difetto morale. Pensare di escludere da quella memoria condivisa un’ampia parte della popolazione italiana rischia di dare linfa a piccole minoranze nostalgiche e negazioniste e questo sarebbe un errore clamoroso.
Voglio sperare che i valori di democrazia e libertà, la condanna dell’antisemitismo, il rifiuto di ogni forma di censura siano riconosciuti oggi come un patrimonio di tutti, così come lo furono ottanta anni fa per i partigiani. Se riusciremo a fare questo, avremo onorato davvero la loro memoria e reso omaggio al loro sacrificio.
Viva l’Italia libera!
Paolo
Chi è che la considera di parte? Basta dire che il 25 aprile è la festa della liberazione dal nazifascisno … Semplice e non la festa della libertà!!! Quella è venuta dopo.
25 Aprile 2025 alle 16:07