Una svolta attesa, poi il colpo di scena
Fino a pochi giorni fa sembrava profilarsi una svolta tanto attesa quanto ragionevole:la Presidenza del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano pareva finalmente destinata a una figura elbana, selezionata tra i tre finalisti dotati di comprovata competenza e radicamento nel territorio. Una scelta in linea con i criteri di rappresentatività democratica e con l’esigenza sempre più impellente, di una governance consapevole delle delicate interazioni ambientali, sociali e culturali che caratterizzano un Arcipelago complesso e fragile come il nostro. Ma proprio mentre questa prospettiva sembrava finalmente farsi concretizzarsi, ecco il colpo di scena. La Regione Toscana irrompe con una mozione improvvisa quanto rivelatrice con cui propone una nuova terna di nomi da sottoporre al Ministero dell’Ambiente, composta da un Presidente e due Vicepresidenti, tutti rigorosamente estranei al contesto insulare e provenienti dall’entroterra. La richiesta di nomina per inoltrarla al Ministero non appare frutto di un percorso condiviso ma piuttosto di una strategia già scritta, portata avanti al di fuori di ogni confronto con il territorio interessato.
Orientamenti regionali
Non è difficile cogliere in questa mossa un segnale inquietante: il ritorno di logiche di appartenenza politica e amministrativa che rischiano di sovrastare ogni altra valutazione. I profili scelti sembrano allineati agli stessi orientamenti regionali che, negli anni passati, hanno ostacolato l’eradicazione di specie invasive come cinghiali e mufloni, con effetti devastanti sul fragile ecosistema elbano.
Coerenza funzionale
Non si può ignorare che chi viene designato ad un incarico amministrativo su impulso della Regione, anche ipotizzando che non condivida apertamente i suoi orientamenti, si troverà comunque a operare all’interno di una cornice gestionale già tracciata, con scarse possibilità di autonomia reale. Si tratta di una cornice che negli anni, ha favorito la proliferazione incontrollata di ungulati invasivi, provocando danni crescenti all’agricoltura, alla biodiversità e alla vivibilità della popolazione stressata da continui incidenti, anche mortali.
E che dire, poi, del dirigente regionale che ha determinato di fatto, il blocco del piano LIFE inviando nella riunione nello scorso aprile un delegato tecnico senza di rappresentanza politica di voto? Quell’atto, più che una svista tecnica, è apparso come una deliberata rinuncia a esercitare una responsabilità, proprio nel momento in cui il piano era più necessario e atteso. Una decisione che ha il sapore amaro dell’ennesima inconcludenza e quindi del relativo rinvio, coperto da ragioni formali ma sostanzialmente inaccettabile.
Non c’entrano le casacche
Ancor più allarmante è il silenzio o la comoda neutralità di troppi Amministratori locali. In un momento tanto decisivo, i sindaci elbani avrebbero il dovere di farsi sentire con fermezza, alzando la voce in difesa della propria terra. E invece, la loro assenza dal dibattito rischia di trasformarsi agli occhi della popolazione, in una forma implicita di condivisione. La rinuncia a rappresentare il territorio è già, in sé, una forma di abbandono.
Il timore, tutt’altro che infondato, è che il Presidente indicato dalla Regione finisca, anche in buona fede, per aderire a un’impostazione gestionale che non nasce sul territorio e non risponde alle reali esigenze locali.
Quando il silenzio politico diventa un segnale
A complicare ulteriormente un quadro già opaco, si aggiunge un altro elemento: la mancanza di una pressione politica visibile da parte dei rappresentanti istituzionali dell’Arcipelago e in particolare dei Sindaci dell’Elba. Una presenza che, pur non mancando del tutto, è apparsa esitante, defilata, priva di quella forza simbolica e propositiva che il momento sta richiedendo.
Non si tratta, certo, di reale disinteresse: nessun amministratore locale può ignorare il valore strategico della Presidenza del Parco. Ma in politica, come nella comunicazione, ciò che conta è la percezione. E oggi, la percezione è quella di un territorio che non alza la voce quando sarebbe necessario, che non rivendica con fermezza il proprio diritto a contare; un territorio che nei momenti decisivi sembra accettare con rassegnazione decisioni calate dall’alto.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: uno spazio lasciato vuoto che altri inevitabilmente occupano. E non sempre con scelte ispirate al bene comune. In questi casi, non è solo questione di strategia, ma di tono: chi tace o sussurra, finisce per essere trattato come irrilevante. Così si ripete il copione già visto troppe volte e cioè: l’Elba relegata a periferia silenziosa da gestire a distanza, anziché soggetto attivo nella difesa del proprio territorio e nella costruzione del proprio futuro.
Il tempo del coraggio civile
Eppure, mai come oggi il destino ambientale dell’Isola tra l’emergenza della fauna invasiva, il degrado del paesaggio e scelte gestionali decisive, avrebbe bisogno di una voce chiara, ferma, presente. L’Elba non può più permettersi di esserci senza farsi sentire. È un lusso che il suo fragile ecosistema non può più sostenere.
I suoi rappresentanti, se davvero vogliono difendere il territorio che amministrano, devono abbandonare la prudenza attendista e rivendicare con dignità e determinazione il diritto di contare. Nessuno chiede proclami roboanti o gesti plateali. Sarebbe bastato un segnale netto, una dichiarazione pubblica chiara, una presa di posizione visibile proprio mentre si sta decidendo il futuro del Parco. Un tale atto avrebbe un valore tutt’altro che simbolico: comunicherebbe, dentro e fuori l’Elba, che l’Isola non assiste in silenzio, ma reclama con lucidità il proprio ruolo, spezzando almeno per una volta, il copione di marginalità che troppo spesso le viene assegnato da altri, ma talvolta, purtroppo, anche da sé stessa.



Marco
Non voglio difendere RT, che in campo ambientale sta facendo solo disastri; vorrei però ricordare che il parco è un parco nazionale, non un parco elbano.
L’equilibrio tra istanze di tutela in ottica nazionale e internazionale e istanze locali è un problema ricorrente e delicato in ogni parco nazionale. Un problema di politica (per una volta in senso buono) ambientale e sociale.
Per questo il ruolo di presidente è un ruolo politico.
Se poi è la cattiva politica e le logiche di potere ad avocare a sé la scelta di un presidente che faccia gli interessi della cattiva politica, questo è un altro aspetto.
Tutto questo preambolo per dire che il presidente non deve rappresentare la comunità locale, già presente nel direttivo per statuto e già sovrarappresentata. Infatti nel direttivo quante componenti che dovrebbero essere ministeriali e di enti di ricerca sono invece ricoperte da persone del posto?
14 Luglio 2025 alle 11:04