Monserrato celebra la sua Signora e i suoi silenzi

di Fabrizio Grazioso

Monserrato: rifugio per l’uomo, palestra per lo spirito. Incastonato nel diaspro e cinto da polle sorgive. Che celebra la ‘sua’ Signora ogni otto settembre, tra grappoli d’uva, elicriso e lentischi. Dove per secoli, in un’attesa contemplativa, innanzi ad una tela spagnoleggiante, a quella Maria col Bambino dal volto scuro, agostiniani, alcantarini e poi eremiti ressero con zelo la custodia del “sacellum” (fino al 1866). Fortificati dal digiuno, nutriti da farina di castagne, legumi e vino dei censi, quest’uomini (soli) accolsero il luminoso disegno della Provvidenza che li destinò in uno dei luoghi più selvaggi dell’Elba. Da lassù, dove il vento fischia forte e il giorno scompare prima, ci han voluto insegnare – inconsapevoli, pazienti come Giobbe – l’importanza del silenzio. Di un silenzio produttivo, vivo, di “fede”. Addirittura sonoro, orchestrale, sempre, di notte fino all’alba. Proprio loro che in una cella “sgarrupata” impararono presto ad “habitare secum”, ad ascoltare sé stessi e a setacciare le parole. Poche, vere, buone. Ad oggi il silenzio non ha cambiato indirizzo. C’è sempre. Anche più di prima. È di tutti… forse non per tutti.

L’illustrazione: ’The Church of Monserrat, in Elba’, Sir Richard Colt Hoare, 1789.

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