Riflessioni sul turismo inclusivo e i musei partecipativi

di Patrizia Lupi

Leggendo qualche giorno fa Il Sole 24ore mi hanno colpito gli articoli di Fabrizio Burchianti e di Cinzia Dal Maso su un tema che stiamo trattando in questi giorni all’Elba: gli Etruschi, come lo definisce l’autrice, “un illustre popolo che è ancora contemporaneo”.

Lo scorso anno ho avuto l’opportunità con Sabrina Busato, Presidente di FEISCT (Federazione Europea degli Itinerari Storici Culturali Turistici) di lanciare, in mezzo alle celebrazioni napoleoniche e alle rievocazioni medicee che si protraggono da anni, il tema “Etruschi” partecipando al bando ad evidenza pubblica della Regione Toscana per la “Giornata degli Etruschi”. Intorno al progetto, abbiamo raccolto l’adesione di 22 soggetti pubblici e privati, a partire dalle Pro Loco di Campo, Porto Azzurro, Rio e Capoliveri. Capofila il Museo Minerario di Rio che proprio in quei mesi ospitava il progetto RACINE di Anci Toscana sulla valorizzazione dei luoghi della Cultura. Il progetto “Elba degli Etruschi” è risultato il primo in Toscana con il più alto punteggio e finanziamento, oltre che per l’idea, proprio per aver messo insieme Enti pubblici, Comuni, Musei, Associazioni del Terzo settore, Mondo universitario, Pro Loco, privati cittadini, aziende, insomma una comunità vasta che si riconosce negli stessi valori patrimoniali, materiali e immateriali, come recita la convenzione di Faro.

 

Possiamo affrontare in questa ed altre sedi  scambi di opinioni sulla cultura come volano per un turismo di qualità, consapevole, rispettoso, destagionalizzato, inclusivo, dove sono gli stessi cittadini/abitanti ad essere ambasciatori del proprio territorio e fare accoglienza. Ma vorrei incentrare la riflessione su un passo dell’articolo citato dove si riporta l’esempio del Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri, chiamando in causa la regione Toscana che promuove da tempo l’idea di costituire “reti” fra Comuni, Istituzioni culturali e privati.

È ciò che, per esempio avviene già da tempo – scrive la Dal Maso –  al Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri. Organizza pranzi etruschi in collaborazione con Slow Food preceduti da una rassegna degli oggetti da cucina antichi del museo. Mentre il produttore di vino locale mette ai propri vini nomi ad etichette ispirati agli oggetti del Museo di Populonia e l’artigiano realizza copie delle monete ora in mostra al Museo. Il glamping vicino poi propone ai suoi ospiti di trascorrere una giornata sullo scavo archeologico di Poggio del Molino, antica fortezza trasformata in villa romana, e il Bike Club  locale offre la biciclettata dalle Cave di marmo di Campiglia Marittima fino a Poggio del Molino dove gli archeologi spiegano come i marmi venivano impiegati nella villa. Ora, per iniziativa della fondazione Aglaia, l’esperienza del museo è modello per la Rete dei Musei Partecipativi: le comunità imparano a conoscere bene  le particolarità del proprio territorio e a valorizzarle al meglio. La Toscana non ha solo preso il nome degli etruschi, è anche la regione che da sempre ci scommette di più, specie da quando Cosimo I dei Medici si ispirò gli Etruschi per legittimare la propria politica di espansione. Oggi, al di là degli intrecci politici, Toscana Terra Etrusca può consentire a tutti di vivere i luoghi della regione in modo consapevole e soprattutto coinvolgente.”

Coinvolgere la comunità in un progetto promosso dai Comuni, dalla GAT, dalle Pro Loco, dalla rete dei Musei, è fondamentale perché come dichiara nello stesso articolo Tapinassi, Direttore di Toscana Promozione Turistica, dobbiamo attualizzare l’eredità degli Etruschi per fare “sentire il turista all’interno di un’esperienza totale e vera. E’ un lavoro di rete complesso, una sfida che richiede un necessario cambio di mentalità”. È quello che fa Vetrina Toscana mettendo insieme con il suo brand viticoltori, apicoltori, agricoltori, allevatori, produttori, ristoratori, botteghe, promuovendone le attività.

 

Ben venga quindi il ristoratore che  propone un banchetto etrusco invece del solito menù di pesce, i rievocatori storici che portano la cultura etrusca in tutta Italia studiando e ricostruendo in maniera filologica abiti, arredi, ceramiche, gioielli, armi od oggetti d’uso domestico, chi fa ricerca musicale e costruisce strumenti antichi, il viticoltore che fa archeotrekking nelle sue tenute e vende il suo vino che la vigna richiede parecchia fatica, le aree archeologiche o minerarie che fanno visite guidate a pagamento, perché chi lavora giustamente  va retribuito. Ben vengano le Pro Loco che in tutta la Toscana costruiscono reti e sono cerniera fra le istituzioni e la “società civile”, promuovendo iniziative che includono il più ampio spettro di partecipanti.  Il turismo culturale in Italia potrebbe essere la prima industria e portare lavoro, stimolare nuove iniziative, soprattutto giovanili, salvare borghi che si spopolano e restaurare un patrimonio che è unico al mondo.

 

Ma per fare questo bisogna uscire dagli steccati e dai luoghi comuni, “sporcarsi le mani di terra”, mettere a disposizione della comunità quello che sappiamo, valorizzando in particolare il volontariato e formando i giovani alle nuove professioni del turismo culturale.

Sentire una nonna che racconta la sburrita e come si viveva nelle miniere è molto più emozionante che guardarsi una ricetta in TV. E forse la narrazione di quello che eravamo aiuta a farci capire dove vogliamo andare. E il turista, che lascia con dispiacere, alla fine della vacanza, una delle bellissime spiagge di quest’Isola del Paradiso potrebbe ritornarci in inverno per visitare un Museo, assaporare un piatto o un vino che sanno d’antico, per cercare una Fortezza d’altura  a Castiglione o quel che resta di una necropoli a Casa del Duca o di un forno etrusco nascosto nei boschi dell’Isola, quella interna, quella vera, dove ancora si respira la sua anima.

 

Patrizia Lupi

1 luglio 2022

 

 

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