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Il Pigliamosche, Cenerentola degli endemismi alati

di Antonello Marchese e Giorgio Paesani

Era ormai diverso tempo che pensavo di realizzare un articolo e una galleria fotografica dedicata al Pigliamosche (Muscicapa striata), una delle specie più comuni nelle estati elbane. Le immagini erano già pronte e in mente avevo già diverse idee per descrivere questo umile maestro dell’aria, ma ancora non mi decidevo alla stesura di un testo.

Nel pomeriggio di una di queste giornate estive passando in bicicletta per una delle vie periferiche di Portoferraio, attraversando un quartiere residenziale con palazzine e giardini, zona che anticamente ospitava le antiche saline di San Rocco, ho sentito uno schiocco familiare che mi ha fatto fermare e guardarmi intorno: era lui, il simpatico ma temibile pigliamosche (temibile per le sue prede) sulla ringhiera di un terrazzino, con una farfallina nel becco, che mi guardava prima di ingoiare lo sventurato insetto. Lo schiocco non era stato altro che il rumore del chiudersi rapido del becco per afferrare la preda. E’ stato come se mi dicesse: “Eccomi, presente!”

Si, perché questo uccellino tra il grigio e il marroncino, apparentemente insignificante, è un maestro di volo acrobatico e di duello aereo, altro che Top Gun. In genere se ne sta posato su di un ramo o di un paletto o un posatoio simile, dominando un orto, un giardino, una piccola radura, un cortile o una strada: alla vista di un insetto, magari una farfallina che entra nella sua zona di caccia si lancia in inseguimenti spettacolari con virate improvvise, salti di quota, voli radenti e altre evoluzioni caratterizzate da un susseguirsi di schiocchi del becco nel tentativo di afferrare gli insetti. A volte gli va male, quando magari gli rimangono in bocca le code (sacrificabili) o qualche frammento di ala di una farfalla, ma spesso e volentieri le beccate vanno a segno, con la preda, che debitamente sistemata nel becco verrà rapidamente ingoiata o portata alla prole in fremente attesa nel nido.

Mi ricordo di avere ammirato già le abilità di volo e predatorie del Pigliamosche ancora da ragazzo quando l’osservavo fermo su una delle canne che sostenevano i pomodori o i fagiolini, nell’orto estremamente biologico di mio padre, campo che dominavo dalla finestra della camera dove mi fermavo a studiare: da lì sentivo poi tutti gli schiocchi del becco che mi allertavano e portavano la mia attenzione su quello spettacolo acrobatico, quel duello aereo che si svolgeva in genere tra il nostro cacciatore e una delle numerose cavolaie che abbondavano in quell’appezzamento di terra, con tutte le manovre già descritte per l’inseguimento della bianca preda intorno ai capannelli di canne. Anche il nonno sulla sua postazione sul dondolo si divertiva a osservarne le spettacolari evoluzioni predatorie, ma ricordo che lo chiamava erroneamente Beccafico, come ho sentito dire anche da altre persone nella zona tra Magazzini e Schiopparello, e così solo molto tempo dopo ho imparato il vero nome della specie, appunto Pigliamosche che ne definisce il comportamento. Il Beccafico, che in realtà un pochino gli assomiglia ma ha il becco ricurvo, è più schivo dello sfacciato e acrobatico Pigliamosche ed è presente da noi solo durante le fasi migratorie primaverili ed estive.

Il Pigliamosche lo troviamo pressoché ovunque nella bella stagione: li ho documentati nelle vie del centro di Portoferraio fermo sui cavi elettrici tra un palazzo e un altro, al Forte Falcone dominando gli spalti della fortezza, a  Pianosa, controllando le vie dei paese da un cavo o da un cartello stradale.  Nella zona umida di Mola, presso la piccola radura davanti al centro di educazione ambientale è una presenza fissa in estate, facile soggetto degli scatti dei fotografi naturalisti che frequentano il luogo.

Li ho visti nidificare coraggiosamente sulle rampicanti appoggiate alla casa, in giardino, nonostante l’abbondante frequentazione dei gatti di famiglia (and friends) che seppur abbastanza satolli mantengono un discreto istinto di cacciatori. E anche fare il bagnetto nella vaschetta dedicata a loro e ad altre specie alate, con grande gradimento per l’acqua di quella piccola tinozza.

 

Molti miei scatti sono stati effettuati presso la rocca del Volterraio dove in estate, insieme ai Venturoni è una presenza abituale nidificando negli anfratti delle antiche mura, costante sentinella sulle cornici dei muraglioni, cacciatore acrobatico pronto a immediati decolli, Top Gun senza il bisogno di sganciare bombe e lanciare missili.

 

*Antonello Marchese –  Fotografo di Natura e Guida Ambientale.  Promotore dell’azione Elba Foto Natura, nell’ambito dei progetti della Carta Europea per il Turismo Sostenibile per il Parco Nazionale Arcipelago Toscano.

 

Il Pigliamosche, l’eminenza grigia

Succede a tutti di considerare “banale” e “scontato”, quindi tutto sommato poco interessante un qualcosa che vediamo comunemente, ogni giorno, almeno per un po’ di mesi.

Succede anche a chi osserva e studia gli animali ed è l’errore da non commettere mai!

Ad esempio, considerare la Poiana o il Gheppio (le due specie di rapaci più facili da incontrare) specie banali e poco interessanti porta lo sprovveduto che commette questo errore a perdersi poiane delle steppe, poiane codabianca, poiane calzate, tutte sottospecie o specie di poiane che possiamo vedere se solo ci soffermiamo ad osservare ogni poiana ci capiti a binocolo. Oppure a perdersi grillai, falchi cuculo e altri falchi di piccole dimensioni facili da scambiare per gheppi se non si rimane curiosi e affamati di conoscenza.

E se dicessi che il Pigliamosche, quell’uccellino grigio comunissimo negli antichi paesi come sulle scogliere, che nidifica su lampade e lampioni e si fa vedere in bella posa su paletti e fili dei panni è praticamente un endemismo sardo-corso? E che la popolazione della sua specie (o sottospecie, dopo mi spiego) vive praticamente solo sulle isole tirreniche e sulla costa toscana?

Intanto facciamo le presentazioni. Il Pigliamosche è un piccolo passeriforme quasi strettamente insettivoro (integra l’alimentazione, ad esempio, con bacche di Alaterno), migratore, arriva in aprile dall’Africa sub sahariana per nidificare, allevando fino a tre nidiate, per poi ripartire a fine estate.

Il suo areale di nidificazione è enorme; va dai paesi mediterranei, comprese le coste del nord Africa, fino alla Scandinavia e alle foreste della taiga russa. Ovviamente, tali macroscopiche differenze di ambiente si riflettono sulla necessità di evolvere diverse sottospecie per meglio adattarsi alle singole esigenze e situazioni climatiche e ambientali.

Che in Italia vi fossero almeno due sottospecie nidificanti di Pigliamosche lo avevamo definito da tempo, osservando evidenti differenze morfologiche e cromatiche tra diverse popolazioni, ma dobbiamo a tre ornitologi italiani la scoperta che, dietro alle differenze strutturali e comportamentali tra i pigliamosche “tirrenici” e gli altri, si nasconde una “distanza genetica” tale da considerare il “nostro” una specie a sé stante: il Muscicapa (striata) thyrrhenica!

La Scienza, piaccia o non piaccia, è una cosa seria e ha bisogno di tempo, verifiche e controprove, tant’è che non ancora in tutti i paesi europei questa “nuova specie” è stata accettata come tale ma ciò non toglie che, specie o sottospecie che sia, i nostri pigliamosche hanno qualcosa di speciale!

Leggere differenze cromatiche, un canto più acuto (la differenza è misurabile in decibel e netta, quindi oggettiva), diverse tempistiche di migrazione e, soprattutto, una differente struttura dell’ala. Ed è quest’ultima caratteristica che ha messo la “pulce nell’orecchio” ai nostri ornitologi. Un’ala diversa significa abitudini migratorie diverse, quindi separazione spaziale tra popolazioni diverse, una delle principali cause della nascita di nuove specie!

Ormai è dal 2022 che studio questa piccola eminenza grigia delle nostre isole e, col Centro Ornitologico Toscano e.t.s. “Paolo Savi”, porto avanti un progetto finalizzato alla definizione dell’esatto areale del Pigliamosche tirrenico. Ormai siamo alla fase dell’analisi dei dati raccolti e, ovviamente, non posso anticipare nulla, ma posso scrivere in tutta tranquillità che i piccoli uccellini grigi che animano le nostre estati con voli acrobatici e una sfacciata “sinantropia” (tendenza a frequentare ambienti antropizzati) non smettono di regalarmi sorprese ed emozioni e ho come il sospetto che non lo faranno mai, almeno fintanto che avrò occhi o orecchie funzionanti e l’ardire di vivere su un’isola.

 

**Giorgio Paesani – Ornitologo

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