Troppi giovani con troppa droga in tasca. Serve legalità

"Bisogna ricordargli che la vita è molto più di un tiro di fumo. Viviamo distratti"

Il turismo di agosto porta all’Elba barche, turisti e spensieratezza. Ma insieme a loro arrivano anche i fantasmi della nostra epoca: i pacchetti di droga, nascosti nelle tasche di chi dovrebbe pensare solo a esami universitari e primi amori. In questi giorni al porto commerciale di Portoferraio, i Carabinieri della Compagnia di Portoferraio hanno fermato un diciannovenne originario di Milano, studente, il classico ragazzo “normale” che potrebbe essere figlio o nipote di chiunque di noi. Addosso, però, non aveva libri né biglietti da visita, ma 100 grammi di hashish, divisi in due involucri. La droga è stata sequestrata. Lui denunciato. Fine della gita, inizio di un problema.
La vicenda colpisce non per la quantità – che pure non è poca – ma per la banalità con cui un diciannovenne pensa di poter salire su un traghetto con in tasca oltre un etto di fumo. È la fotografia di una generazione che non percepisce più il confine tra legalità e illegalità, tra pericolo e leggerezza.
La droga non è più il tabù degli anni Ottanta. È diventata la colonna sonora invisibile delle vacanze, dei concerti, delle serate e dietro i cocktail e i tramonti, spesso ci sono gli spinelli, le pasticche, le bustine. E i ragazzi, molti ragazzi, finiscono per considerarla parte integrante del divertimento.
I genitori la negano, la politica si divide tra proibizionisti e tolleranti”, la scuola ne parla in convegni sterili. Intanto, i ragazzi comprano, vendono, consumano. Come se fosse normale.
Non è solo questione di legalità, ma di cultura e responsabilità. Perché mentre la politica discute, le famiglie si illudono e le scuole predicano, i nostri figli si giocano la vita con leggerezza sconcertante.
La domanda vera è: dove eravamo noi adulti mentre un ragazzo di 19 anni scivolava nell’illusione che “non ci fosse nulla di male”?
È comodo puntare il dito sul singolo episodio. Ma se a Portoferraio i Carabinieri hanno fatto centro, quanti altri ragazzi sbarcano con tasche piene e nessuno che li controlli? E quanti genitori si accontentano del “va tutto bene” senza mai chiedere cosa c’è davvero nello zaino dei loro figli?
La verità è che viviamo in un’Italia distratta, dove la droga è un problema che riguarda sempre qualcun altro. Fino al giorno in cui scopriamo che riguarda proprio casa nostra.
Un applauso va ai Carabinieri, che hanno dimostrato che la presenza sul territorio funziona. Ma non possiamo illuderci che sia sufficiente il controllo al porto per fermare un fenomeno che viaggia su Telegram, cresce nei locali e corre perfino nei corridoi delle scuole.
Serve una scelta politica netta, serve un’assunzione di responsabilità collettiva. Perché non è normale che un diciannovenne, appena maggiorenne, si giochi così la reputazione, la fedina penale e forse la vita.
Quella del giovane di cui si parla, non è solo la cronaca di un evento estivo. È uno specchio, impietoso, di una generazione lasciata sola. E di un Paese che predica legalità e valori, ma poi tollera – anzi, quasi accetta – che la droga diventi il pane quotidiano dei nostri figli.
Finché continueremo a nascondere la testa sotto la sabbia, il porto dell’Elba e mille altri porti continueranno a regalarci la stessa cartolina stonata: ragazzi troppo giovani, con troppa droga in tasca, e con nessuno intorno a ricordargli che la vita è molto più di un tiro di fumo.

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